Facciamo luce sull’utilizzo, spesso errato, del termine “Bilingue”. Secondo i ricercatori un bambino bilingue è colui che parla entrambe le lingue in modo indifferenziato. Ma è davvero cosi? Si può essere meno restrittivi e considerare una persona bilingue colei che parla bene la sua lingua ed abbastanza bene la seconda lingua?
Sciogliamo alcuni nodi attraverso questo articolo di Sara Micheli
Bilingue, chi era costui? Direbbe don Abbondio. Intuitivamente potremmo rispondere che bilingue è chi sa parlare due lingue. Ma appena ci fermiamo a riflettere meglio ci rendiamo conto che questa affermazione potrebbe valere anche per le persone che hanno imparato una seconda lingua a scuola. Ervin and Osgood (1973) hanno infatti ritenuto opportuno distinguere due tipi di bilingui: i bilingui composti sono coloro che attribuiscono lo stesso significato a parole corrispondenti delle due lingue. Tale corrispondenza è frutto dell’insegnamento scolastico che basa l’apprendimento dei vocaboli sulla traduzione e quindi crea degli equivalenti. I bilingui coordinati, invece, attribuiscono a parole corrispondenti significati parzialmente diversi. Tale differenza è la conseguenza del contesto in cui sono state acquisite le parole.
La seconda domanda che sorge spontanea: è sufficiente comprendere una seconda lingua o anche parlarla per potersi definire bilingue? E poi parlare come? Come i nativi, ci verrebbe spontaneo rispondere, ovvero senza il classico accento straniero, altrimenti potremmo definire bilingue tutti coloro che conoscono due lingue. Ogni studioso che si rispetti ha creato la propria classificazione in base alla competenza linguistica del bilingue. Una distinzione che riteniamo importante sottolineare è quella di Brooks (1960), secondo il quale il “vero” bilingue è proprio colui che non fa una parafrasi della lingua natia, ma parla la seconda lingua con concetti e strutture che le sono propri.
Non basta. Si parla di bilinguismo solo nel caso in cui la seconda lingua venga acquisita dalla nascita?
Il momento di acquisizione fornisce un’altra importante classificazione: viene definito bilingue simultaneo colui che è in contatto continuativamente e contemporaneamente con due lingue diverse. Il bilinguismo consecutivo presuppone che la prima lingua (cioè quella parlata prima cronologicamente) sia già stata acquisita per lo meno nelle sue strutture basilari prima di iniziare con la seconda lingua. McLaughlin considera simultanei tutti coloro che hanno iniziato ad avere contatti con l’altra lingua prima dei 3 anni. Il bilinguismo simultaneo in altre parole avrà due prime lingue, anche se una delle due è sempre dominante rispetto all’altra, dovuto al fatto che il contatto con le due lingue non è mai costante né paritario.
Potremmo andare avanti a lungo con classificazioni e precisazioni, ma la nostra idea è che sia preferibile non porsi troppe restrizioni. Come nel caso dei monolingui, è importante riconoscere una gradualità; delle capacità di una persona di esprimersi e di comprendere la lingua. Il bilingue quindi può essere molto bravo in una lingua e appena discreto nell’altra, appena discreto in entrambe, o molto bravo in ambedue, ciò non toglie che egli sia un bilingue.
Come abbiamo letto, la questione del bilinguismo varia a seconda del punto di vista.
Nel prossimo articolo abbiamo il piacere di condividere il punto di vista della scrittrice americana Mia Nacamulli, che ci spiega con grande chiarezza, il pensiero corrente